Fotografia

Fino all’arrivo a Rovigno, l'attività fotografica di Massimo Sella era strettamente legata a quella scientifica, e consisteva principalmente nella documentazione dei viaggi e delle attività di ricerca, oppure in riprese tecniche in laboratorio di materiali utili agli studi (ad esempio sezioni di tonni, spugne o parti di altri pesci e molluschi).

A Rovigno invece, forse per i motivi da lui indicati, forse per la naturale evoluzione di uno spirito interessato all’arte e al bello, avviene il passaggio cruciale dalla fotografia strumentale e pratica a una fotografia dove la dimensione estetica e simbolica assumono rilevanza piena, una fotografia che dopo il ritorno in Italia diventa per l’autore lo strumento principale di conoscenza e indagine della complessità del reale.

Rovigno, la fucina del fotografo


Io sono vissuto a lungo nel carso, mare e carso, in Istria e in Dalmazia. E credevo che nulla valesse la vista di un isola di pietra nuda come osso, sorgente dal mare: elementi primigeni là riuniti com’erano prima della comparsa della vita, la roccia bianca, l’acqua amara, l’aria azzurrina, il fuoco solare. Lo scheletro non ancora rivestito di carne e capelli, di terra e piante.
Nel carso la rada vegetazione, la poca terra rossa raccolta nelle anfrattuosità del calcare, la preziosità delle raccolte di acqua, mi facevano pensare che è più intenso il piacere del vivere scarno. La dolina, grande o piccolo imbuto in cui si raccoglie la terra rossa trascinata dalla pioggia, è nel carso l’oasi dell’ abbondanza.
E che cosa v’è di più dolce e riposante di una dolina coltivata dall’uomo in mezzo a un deserto di pietrame popolato solo da pecore e capre?
Mi pareva che le patate e il grano in essa cresciuti dovessero contenere principi di vita più sostanziali di quelli delle nostre terre grasse.
La sete feroce induriva la volontà, il cammino di sasso incalliva i piedi, la luce bianca temprava l’occhio e la solitudine lo spirito.
Sentivo urgere nella scatola cranica e scorrermi nelle braccia le forze della giovinezza della vita.
Pensavo che ritirandosi in una grotta o in una casupola di pietre del carso, in quello stadio arretrato della creazione, ci si sarebbe spogliati del fardello di idee e di bisogni che accumulati da secoli ci pesano sull’anima e sul corpo. Ci saremmo avvicinati all’ essenza delle cose, forse qualche scintilla di verità sarebbe passata in noi. Le stelle avrebbero brillato meravigliosamente nelle notti, il fuoco di sterpi sarebbe stato il nostro caro compagno, una cosa viva; i fiori selvaggi della breve primavera sarebbero stati (e infatti lo sono) più belli di tutti i fiori dei giardini del mondo, dove i selezionatori fanno dei fiori un passatempo; nell’ardente estate l’elicriso e la salvia calpestati avrebbero riempito l’aria del loro aroma oleoso. E poi il mare non lontano sarebbe stato visibile dall’alto. Il vero laboratorio della natura per la creazione degli organismi viventi, quello dove vengono fatte le più strane prove, sarebbe stato davanti a noi spettatori; anche se ogni cosa si volga nel grembo del suo mistero. La voce dominante del luogo sarebbe stata la sua, sola o unita a quella della bora e dello scirocco, con le pause della bonaccia.

Così pensavo. Ma Lei, che era nata nel tenero verde della Bürsch e lo portava nel sangue, comprendeva e tuttavia non poteva resistere a quell’asprezza. Aveva nel cuore troppe cose care che non poteva dimenticare e che la riconducevano qui. Ed ora che è scomparsa, qualche cosa riconduce anche me, qui; anche ai miei occhi la luce verde sembra la più bella. Ora comprendo che non vi sono luoghi più belli e luoghi meno belli ma soltanto cose che si amano.

da Massimo Sella, "Pietre nude e pietre vestite",
in La Bürsch, Ed. Centro Studi Biellesi, Biella, 1964

"Incominciai ad occuparmi di questo genere di fotografie alcuni anni fa a Rovigno in Istria quasi per il bisogno di analizzare le sensazioni di quella terra ricca di bellezza genuina e di approfondirne il significato"
Così scrive Massimo Sella parlando dei suoi inizi di fotografo.

Nei vent’anni trascorsi come direttore dell’Istituto Italo-Germanico di Biologia Marina di Rovigno, Sella realizza uno straordinario ritratto della vita della comunità rovignese: un corpus di immagini (quasi 4000 negativi) che è al tempo stesso documentazione poetica e romanzo corale, dove anche le strade, i lastricati e gli antichi edifici diventano elementi rivelatori dell’anima riposta della città.

Le contrade della città di Rovigno fanno da quinte al teatro della vita: i bambini che giocano, le donne vestite di nero, i gatti furtivi, entrano ed escono dai portoni come i personaggi di una rappresentazione.

Gli uomini sono altrove: nei campi, in mare, nelle cave.
Sella li descrive al lavoro, arrivando a realizzare sequenze che dimostrano un senso istintivo del reportage e dello sviluppo narrativo molto raro nella fotografia italiana del periodo.

L’autore è a suo agio sia quando si misura col dettaglio di un muro antico, sia quando affronta scene corali, come quelle scattate al ritorno da un’abbondante pescata di pesce azzurro o le riprese sul fronte del porto, costruite sull’intreccio di linee formate da scafi, vele, sartie, alberature e reti.


"La fotografia ha insegnato ai miei occhi a veder più addentro nelle apparenze che ci circondano".

La sua posizione è quella dell’osservatore non coinvolto ma partecipe, accolto dalla comunità.
Per meglio avvicinarsi ai suoi soggetti, abbandona le macchine di grande e medio formato usate per le foto scientifiche e adotta una macchinetta tascabile 3x4, una Nagel sempre a disposizione quando si presentava l’occasione per realizzare un bella foto. Sella non considera il negativo come l’opera finale ma si dedica a un lungo lavoro in camera oscura, dove studia il taglio migliore, sperimenta con il fluo e il mosso usando filtri, variazioni dell’esposizione, e a volte elimina i dettagli di disturbo.

Il risultato sono stampe che aderiscono formalmente al pittoricismo allora in voga, tuttavia lo scopo del suo sperimentare non è esclusivamente estetico, piuttosto si tratta di una scelta strumentale alla ricerca di una visione complessa, che non dichiari ma suggerisca emozioni e interpretazioni.

L’eccezionalità delle immagini, di cui qui presentiamo una selezione, è stato riconosciuto negli anni recenti dalla Città di Rovigno, che vi ha ritrovato la memoria del proprio passato e nel 2006 le ha presentate in una mostra al Museo Civico della città.


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